di Flora Gatti

I volti di chi ci accoglie

Siamo arrivati all’aeroporto di Dar Es Salaam nel pomeriggio di giovedì primo febbraio, ricordavamo quel percorso verso la guest house del CEFA pieno di buche, macchine, camion e corriere di piccole dimensione stracariche di persone, animali, taniche, frutta, vestiti e tanto altro.

Dopo tanti anni dall’ultimo viaggio, però, il percorso verso il centro della città è enormemente più trafficato e disordinato; alle auto ed ai camion si sono aggiunte le motociclette e i bajaj (taxi a tre ruote) che sfrecciano a destra e a sinistra della macchina. I piccoli negozi e le bancarelle lungo i lati della via principale sono molti di più e con una moltitudine di persone perennemente indaffarate. Qui, la prima sensazione è di vitalità, di giovani e di futuro.

1984

2024

Alla casa del CEFA veniamo subito accolti dai responsabili progetto, i volti di quei nomi che spesso leggiamo di sfuggita nei bilanci mentre controlliamo i costi di un progetto. Questa volta, mi sono presa il tempo per conoscere le persone che svolgono questo lavoro: Cinzia, Leonardo, Chiara, ed Anna, provando una forte emozione nel sentirli parlare dei progetti che stanno seguendo. Ho riconosciuto in loro lo stesso entusiasmo che io e Piero abbiamo vissuto 40 anni fa con i volontari che condividevano con noi l’esperienza di lavorare “sul campo”, direttamente a contatto con gli abitanti della Tanzania. Finalmente i nomi scritti su quel bilancio avevano un volto, un’anima e quest’anima mi piaceva.

Anna, una donna, una mamma con figli, ci travolge per prima, con il suo racconto sul progetto del tè nelle regioni di Iringa , Mbeya e Njombe; elenca tutte le soddisfazioni che questo programma le sta dando tralasciando, di proposito, le fatiche che inevitabilmente ha dovuto affrontare nel gestire l’organizzazione delle cooperative di agricoltori in un’area così vasta. Vuole trasmetterci il suo entusiasmo e ci riesceLeonardo ha appena lasciato il progetto del tè con base operativa a Matembwe ed è già proiettato nel nuovo programma di Dar Es Salaam lungo la costa dell’oceano indiano che va dal Mozambico al Kenya. Ha appena concluso il primo sopralluogo nel sud della Tanzania e si legge già nei suoi occhi la gioia di poter realizzare qualcosa che possa aiutare le persone a migliorare la loro vita e quella dei loro figli. Sembra quasi che veda già i risultati finali. Poi c’è Chiara che porta avanti i progetti che si svolgono in città con i più vulnerabili. Lei è mite, attenta ed esprime una grande forza d’animo che trasmette sicurezza e tranquillità. Il viaggio verso la nostra Matembwe lo facciamo con Cinzia, coordinatrice in Tanzania, e Dario, responsabile dei progetti; Dario, insieme a Marina, ha lavorato in Tanzania con il CEFA per 10 anni ed al suo rientro ha messo la sua esperienza e competenza al servizio dell’organismo. Cinzia è una donna disponibile all’ascolto, pronta ad intercettare i bisogni dei suoi collaboratori prima ancora che diventino un problema. Forte nel coprire quel ruolo che deve sempre trovare una mediazione tra le esigenze di chi sta in Italia e di coloro che sono “sul campo”. Consapevole delle difficoltà di bilancio dei progetti e delle necessità della gente dei villaggi, è responsabile nel gestire i giovani del servizio civile, e si percepisce chiaramente che si sentono parte della grande famiglia del CEFA

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Tutti e tutte loro, come il personale del CEFA in Italia, sono davvero indispensabili per trasformare un progetto in una realtà concreta in cui le persone possono cogliere delle opportunità di lavoro e di sviluppo adeguate all’ambiente in cui vivono.

Le donne di Matembwe: la storia di un cambiamento

Matembwe non ha ancora la strada asfaltata. Percorrere questi 60 km da Njombe a Matembwe è stato come fare un tuffo nel passato di 40 anni.

La stagione delle piogge ha ricreato le stesse difficoltà di allora: buche, salti, improvvisi, scossoni e, l’arrivo a Matembwe di sera ci appare come un piccolo miracolo. Emerge dal buio che la circonda come un presepe. Ogni casa ha la sua luce, le due stazioni di benzina sono illuminate, i negozietti, i bar con luci e musiche e la strada principale con i lampioni accesi come una pista di atterraggio. Anche qui molto è cambiato. Incontro le donne che da ragazzine erano venute a lavorare nel pollaio della Matembwe Village Company, alcune seguivano l’allevamento, altre la schiusa dei pulcini, altre ancora la rivendita delle uova in negozio. Alcune in pensione, tutte nonne come me.

Parlo con loro e mi accorgo che abbiamo le stesse preoccupazioni. Hanno fatto studiare i loro figli e le loro figlie, li hanno sostenuti economicamente per poter garantire loro un futuro migliore e, oggi, molti di questi giovani non trovano lavoro vicino casa e devono migrare all’interno della Tanzania, scegliendo le grandi città da cui difficilmente fanno ritorno. Chi invece non riesce a trovare lavoro altrove, rientra e torna all’agricoltura, così le mamme danno loro una mano, accudendo i nipoti e aiutando nei campi.  Anche loro preoccupate per come i giovani interagiscono con internet e i cellulari, non vivono più ai margini della vita sociale, sono maggiormente consapevoli del loro ruolo all’interno della famiglia e della comunità, e ne parlano tra di loro. Vanno in bicicletta, portano i pantaloni, indossano le scarpe tutti i giorni e non solo la domenica, comprano le scarpe ai figli più piccoli, usano l’ombrello e si fanno accompagnare con la motocicletta al dispensario. Colgono le opportunità che negli anni il CEFA ha saputo mantenere e sviluppare, allevano polli vicino a casa e vendono uova, aderiscono alle cooperative del te’, producono il miele, aprono qualche negozietto di vestiti alla moda, sperano di trovare lavoro nell’ospedale che il governo sta completando a Matembwe. Qualcuno penserà che sono piccole cose ma in realtà sono conquiste concrete che i giovani di Matembwe hanno potuto sperimentare fin da piccoli. L’accesso all’acqua potabile, all’energia elettrica, ad una corretta alimentazione e ad un’istruzione di qualità ha impresso un’accelerazione al loro benessere e a quello dei loro genitori.

Loro sanno che c’è un futuro possibile anche a Matembwe. Ci credono, e ci crediamo anche noi.