di Irene Sciurpa, project manager CEFA in Kenya
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Come trasporti tonnellate di cemento e 43 km di tubature in un posto senza strade?
C’eravamo lasciati all’inizio dei piccoli sentieri di montagna, impossibili da percorrere con qualsiasi mezzo. Ed ai piedi di quella montagna che la magia ha preso forma. In mezzo alle vette di West Pokot, una delle contee del Kenya che sta subendo i peggiori effetti del cambiamento climatico e del degrado ambientale, 43 km di tubi stanno cambiando la vita di 10 mila persone. Il progetto dell’acquedotto di Klaan sta diventando sempre più reale, e questo avvicinamento alla realtà ci porta a scontrarci con delle difficoltà concrete. Ma si sa, è dalle imprese più folli che nasce la melodia più bella!
Il materiale doveva raggiungere la sorgente che è in cima a una delle montagne, a 2 ore e mezzo di strada a piedi dall’unico villaggio raggiungibile in macchina. Il resto delle tubature doveva raggiungere gli altri villaggi e le altre scuole. L’elemento che ha messo tutto insieme è stata la comunità, la risposta alla nostra domanda era ancora una volta quella comunità. “Allora chi ha gli asini? E come ci dividiamo in gruppi?”. 10 uomini servono per trasportare a mano una tubatura lunga 100 metri e di 90 mm di diametro. E ora immaginate questi 10 uomini andare su e giù per questo viottolo appena tratteggiato per la montagna irta. Erano lì con le ciabatte o a piedi nudi a portare tutti i tubi su alla fonte, a Sombich, Mulmwat, Krich, Kahow, Psapai, Chepiwut. Dall’alto sembravano tutti serpentoni indaffarati. Alcuni si lamentavano, altri motivavano il resto del gruppo e altri, forse in troppi, cercavano di battere il tempo per il passo della camminata. E dietro gli asini con le buste di cemento sulla schiena. Anche gli asini erano stanchi.
Su, alla fonte, tagliando un po’ di cespugli è emersa questa bellissima cascata rocciosa. I lavori per la costruzione della vasca di raccolta dell’acqua, da dove poi partiranno le tubature, sono già iniziati. Rumori di martelli che spaccano le pietre, pale che spostano la sabbia e io lì, arrampicata sul muretto con gli occhi sgranati. C’era un sottofondo di rumori diversi, lo scroscio dell’acqua, i martelli, le persone a ridere, a parlare, a bagnarsi con l’acqua dopo una bella sudata. E io mi sono strofinata gli occhi varie volte. Incrociando lo sguardo dei miei colleghi e mie colleghe, scambiandoci quel sorriso che viene solo dopo mesi di duro lavoro, di frustrazione perché le cose non vanno spedite come vorresti, di discussioni in ufficio per come potercela fare. “Ma che cosa abbiamo combinato?”. In questo frastuono hanno deciso di “sacrificare” una capra e mangiarla tutti insieme. Mi hanno spiegato che questo era un rituale preciso, fatto solo quando grandi cambiamenti stanno arrivando. E sì, forse l’acqua a casa puo’ cambiarti la vita. Può donarti il tempo che perdi ogni giorno per andare a riempire la tanica. Può donarti la bellezza di un giorno senza mal di schiena. Può darti tempo per andare a scuola. Può permetterti di avere il tuo orto e coltivare le tue verdure. C’è così tanto dietro un semplice acquedotto. Magari del rituale ve lo racconterò la prossima volta. Per ora immaginate un fuoco e gente intorno nel mezzo della foresta. L’aria elettrica, pregna di meraviglia, mistero, e un’ incredibile gioia. Nasia, uno dei pochi che sa parlare l’inglese, mi si è avvicinato e mi ha detto: Ora tu sei parte di questa famiglia qua a West Pokot. Devo ammetterlo, due lacrimucce mi sono scese.
Essere una Project Manager è un po’ come essere la direttrice di un’orchestra. E quel giorno la sinfonia che siamo riusciti a creare era diversa dal solito. E io non sarei mai riuscita a creare questa sinfonia di centinaia di metri di tubi che si muovevano a forma di serpenti su una montagna se non fosse stato per il mio team. Per la testardaggine in cui tutti noi abbiamo creduto in questo progetto. Per l’impegno immenso che ognuno di noi sta mettendo per completare una dei progetti più complessi che abbiamo scelto di fare. E il motivo per cui lo facciamo è per la comunità che noi stiamo servendo, pronti ad improvvisare, a far partire un po’ di Jazz. In macchina al ritorno, avevo addosso quella stanchezza felice e quel sorriso a metà faccia che non si toglie. Voglio ringraziare ciascuno di voi per averci creduto con noi, per far parte di questo progetto folle, che nessuno avrebbe scelto. Vi sono grata, davvero, con tutto il mio cuore. I prossimi mesi saranno intensi, saranno gli ultimi. Ma l’acqua arriverà in quelle case. Noi ce la stiamo mettendo tutta e dobbiamo insieme ricordarcelo a vicenda che stiamo facendo un lavoro tremendo.