di Vera Negri Zamagni

Dopo anni di totale disinteresse per i destini dell’Africa, l’unico grande continente senza una propria capacità propulsiva, le cose sembrano oggi finalmente cambiare. La Conferenza di Parigi del 18 maggio ha segnalato una svolta, lanciata dalla Francia e appoggiata dai paesi Mediterranei della UE, sulla quale vale la pena di riflettere, per rendere gli interventi del CEFA nei paesi africani dove siamo presenti sempre più utili.

Fra le cause di questa svolta, ecco le principali: 1) conflitti etnici devastanti e flussi migratori sempre più incontrollabili che impediscono un miglioramento economico sostenuto; 2) effetti della pandemia da Covid19: la carenza di vaccinazioni può provocare varianti del virus che lo rendono endemico; 3) instabilità dei governi legata a molti fattori, fra cui l’alto debito; 4) interesse da parte della Cina alle risorse naturali del continente, che viene visto male dai paesi europei; 5) la necessità di archiviare definitivamente gli effetti del colonialismo, attivando politiche internazionali diverse; 6) l’opportunità di associare anche l’Africa alla lotta agli effetti del cambiamento climatico. Alcune di queste cause sono antiche, altre si sono aggiunte in tempi recenti, rendendo improrogabile per l’Europa cambiare registro.

Quali sono le proposte messe in campo? In sostanza le seguenti quattro:

  1. Un intervento massiccio sulla sanità attraverso Covax, che fornisce vaccini gratuiti, accompagnato dal trasferimento di licenze e promozione di capacità produttiva locale di vaccini, con fondi ricavati dai SDR (una liquidità generata dal Fondo Monetario Internazionale che agisce come banca centrale del mondo);
  2. Il congelamento del debito dei paesi africani, per aprire uno spazio fiscale per i governi allo scopo di realizzare investimenti pubblici infrastrutturali accoppiati alla lotta contro i cambiamenti climatici;
  3. Il coinvolgimento delle istituzioni pan-africane nell’utilizzo degli SDR. A questo proposito, in base alla proposta sul tavolo del G20, 33 miliardi di dollari delle emissioni previste a breve spetterebbero all’Africa, ma molti paesi si sono impegnati a girare parte dei loro SDR ai paesi africani, fino a raggiungere 100 miliardi dollari.
  4. Un supporto specifico al finanziamento delle piccolemedie imprese africane, per promuove anche l’imprenditorialità privata africana.

A questi obiettivi, si aggiungono interventi mirati su singoli paesi, come quello che si sta operando in Libia per stabilizzare il paese, o in Tunisia per dare una boccata d’ossigeno immediata alla loro economia, o in Sudan, che sta affrontando una transizione politica che potrebbe risultare assai positiva. Francia e Italia sono i paesi più coinvolti in queste novità, ma anche Spagna e Portogallo. Tuttavia, l’intera Unione Europea non è inerte e si sta lavorando ad un nuovo trattato per il controllo dei confini e per l’accoglienza dei migranti. Occorrerebbe però rivedere completamente gli accordi in vigore tra UE e paesi africani – che furono iniziati dal fondatore del CEFA Giovanni Bersani – soprattutto nel campo degli investimenti. I precedenti accordi erano sostanzialmente unilaterali: l’Unione Europea “concedeva” una serie di facilitazioni ai paesi africani in campo commerciale e si impegnava ad alcuni modesti investimenti. Oggi le istituzioni di governo in Africa sono migliorate, anche se non dappertutto. È dunque possibile promuovere partnership e co-progettazioni, impegnando l’Europa ad offrire finanziamenti e supporti tecnici per la realizzazione di progetti condivisi e le istituzioni africane coinvolte a realizzare riforme capaci di migliorare la loro stabilità e il loro controllo della corruzione. Non si vuole certo nascondere l’inadeguatezza di molte situazioni locali, che ancora limitano le opportunità sopra delineate, ma si cominci dove si può, gli esempi di successo sono trainanti.

La pressione che viene dalle cause sopra elencate ad agire tempestivamente e con un approccio cambiato va colta, senza cedere alla demoralizzazione di vedere troppe lentezze e anche passi indietro, che sono inevitabili. Dovunque i grandi cambiamenti culturali e istituzionali hanno preso tempo, spesso molto più di quello immaginato, ma se sono iniziati con un abbrivio di qualche peso, come sembra verificarsi ora nel caso dell’Africa, il miglioramento si è alla fine visto. Le ONG che lavorano in Africa dovrebbero tessere reti fra loro per non far mancare il loro supporto alle nuove iniziative che si profileranno.