di Jacopo Soranzo

Amina è un bambina di 6 anni che vive nella contea di West Pokot in Kenya; la mattina, dopo aver bevuto e mangiato un po’ di ugali, la polenta locale, avanzata dalla sera prima, parte per andare a scuola.  Ci vuole circa un’ora per arrivare e, lungo la strada, incontra tanti amici e amiche con cui ridere e scherzare.

Amina è fortunata perché non tutti i bambini e le bambine della contea possono andare a scuola: la scuola primaria, infatti, è formalmente gratuita, ma il governo fornisce pochi insegnanti obbligando le famiglie a pagare 500 scellini (circa 3,5€) al mese per avere qualche professore in più per ogni figlio e figlia, una cifra che non tutti possono permettersi di spendere. Amina arriva a scuola alle 8 e, con i suoi amici e le sue amiche, si reca in una classe di 34 bambine e bambini, dove ha modo di studiare e giocare; la scuola finisce alle 12, orario in cui riprende il cammino fino a casa, dove potrà finalmente bereA scuola, infatti, non c’è l’acqua: il grande serbatoio da 10.000 litri fuori dalla scuola è vuoto e il pozzo da cui dovrebbe arrivare l’acqua è rotto.

Siamo arrivati alla “Marich primary school” in una giornata di sole, negli ultimi giorni della missione in Kenya con Dargen D’Amico, Eugenio, Matteo e Francesco.  Il nostro arrivo ha fatto anticipare la ricreazione, portando i bambini e le bambine ad uscire a giocare insieme a noi, affascinati dal drone fotografico che c’eravamo portati dietro. In questa occasione, abbiamo avuto modo di parlare con la preside della scuola del problema dell’acqua che stanno vivendo.

Nella nostra breve permanenza in West Pokot tutti e tutte, madri, insegnanti, agricoltori e agricoltrici, ci hanno parlato della mancanza di acqua e di quanto essa abbia conseguenze nella vita delle persone che vivono nella contea, in termini di tempo e di salute. Come ci viene raccontato, la ricerca dell’acqua occupa gran parte della giornata delle donne, non lasciando spazio ad altri lavori; allo stesso modo la sua mancanza incide sulla salute, sull’alimentazione, sulla formazione dei loro figli e delle loro figlie.

Il West Pokot è una contea del Kenya che soffre fortemente a causa della siccità: negli ultimi 3 anni sono saltate tutte le stagioni delle piogge; le uniche precipitazioni presenti, definite “shower” dai locali, sono state esigue e senza regolarità, paragonate a docce brevi non utili alle coltivazioni degli agricoltori e delle agricoltrici, che non hanno sistemi di irrigazione. In questa regione la povertà è aumentata in questi ultimi 2 anni, portando il governo centrale a mandare l’esercito e imporre il coprifuoco per evitare l’aumento di furti e scontri tra i villaggi

Irene e Francesca, le colleghe che lavorano in Kenya e che ci hanno guidato nella missione, ci illustrano il progetto per la costruzione dell’acquedotto che porterà acqua a circa 10.000 persone in 5 villaggi: 30 km di tubazioni che in alcuni casi saranno portati con gli asini su per i monti, fino ad una fonte sicura d’acqua pulita. Ci spiegano che il costo complessivo è di circa 200.000€, il costo di un appartamento in Italia, pochissimo in confronto a quello che rappresenterebbe per 10.000 persone. Il progetto mi ricorda quanto già fatto da CEFA 25 anni fa a Kiirua, sempre in Kenya: un acquedotto che porta acqua a 60.000 persone e che è ancora perfettamente funzionante e gestito da un’associazione locale. 

Torno dal viaggio il 12 ottobre stanco, ma felice e fiducioso. I problemi ci sono e sono grandi, ma ci sono anche le soluzioni e, soprattutto, ci sono le persone che possono portarle: Irene, Francesca, tutti gli altri colleghi, Dargen d’Amico e noi tutti del CEFA.