Ieri è mancato Baba Camillo, uomo e missionario straordinario legato al CEFA e all’inizio delle attività a Matembwe. Nelle parole di Francesco Tosi il ricordo di tutto il CEFA.

Raoul Mosconi – Presidente CEFA

Se ne è andato dopo 53 anni di vita in Tanzania, all’età di 83 anni, un gigante dell’amore per i poveri a cui anche  il CEFA deve molto. Poco dopo il suo arrivo a Matembwe, questo missionario della Consolata (IMC,Torino) conobbe Giovanni Bersani e da lì nacque  il primo progetto di sviluppo rurale integrato in Tanzania, progetto pilota che ancora oggi sopravvive dopo quarant’anni, durante i quali ha generato altri interventi di volontariato internazionale e cooperazione allo sviluppo in Tanzania.

Persone diversissime Padre Camillo Calliari e Bersani, con due cose tuttavia in comune oltre ad una granitica stima reciproca: la fede cristiana e un amore autentico e concreto per i poveri. 

Entrambi poi, questi due giganti,  avevano chiarissima l’idea che l’aiuto va inteso come “promozione umana” e cioè innesco di processi partecipati che rendano duraturi nel tempo i risultati e gli effetti delle azioni svolte. Su questa idea infatti nacque  il primo progetto del CEFA in Tanzania, quello di Matembwe appunto, nel 1980, voluto dallo stesso Nyerere (il padre dell’indipendenza e unità della Tanzania), impegnato in quegli anni nel singolare progetto politico-sociale dell’Ujamaa: trasformare la società tanzaniana in una comunità fondata sul contributo responsabile di ciascuno, per soddisfare i bisogni primari di tutti. 

Si trattava di un progetto che vedeva la stretta collaborazione di una ONG italiana con quattro realtà del posto: il villaggio,  la missione cattolica, la provincia e la diocesi. Ognuno dei quattro enti aveva compiti e responsabilità precisi. Il CEFA allora non aveva strutture né mezzi in Tanzania, e senza la disponibilità e l’autorevole azione di Padre Camillo, molto stimato dalla gente e dalle autorità del posto, oltre che dotato di non comuni capacità e mezzi tecnici, non sarebbe certamente stata quella giovane coppia di volontari italiani da sola a far decollare il prestigio del CEFA, una ONG appunto che da quel momento si sarebbe via via  gradualmente radicata in Tanzania,   intrecciando il proprio nome con importanti  interventi di sviluppo, apprezzati anche dalle autorità centrali del Paese, interventi che a distanza di decenni rappresentano  oggi singolari casi di cooperazione allo sviluppo autosostenibile nel tempo e con effetti di diffusione sul territorio nazionale. 

Tra la diffidenza di tanti suoi confratelli, Padre Camillo ebbe il coraggio e il merito di credere in quella avventura inedita di collaborazione di una realtà missionaria religiosa con una associazione di laici per progetti rivolti alla società civile e destinati a quest’ultima sia negli effetti che nella proprietà  e gestione future. Si trattava allora di una scommessa e … venne vinta. Un altro merito di P. Camillo, decisivo per la storia del CEFA in Tanzania,  fu quello di averci indicato un giovane del posto da inviare in Italia per acquisire una formazione idonea a consentirgli di condurre poi in Tanzania i progetti del CEFA. John Kamonga, questo giovane dotato di spiccate attitudini intellettuali  e relazionali oltre  ad una alta caratura etica,  si rivelò uno degli elementi fondamentali nel percorso che portò alla autonomia e autosostenibilità dei progetti del CEFA, fino a rappresentare legalmente la ONG in quella nazione.

La profonda amicizia che legò P. Camillo a me, a mia moglie e ad altri volontari del CEFA ebbe una parte importante sia per le nostre vite che per l’intera vicenda del CEFA in Tanzania. 

Persona apparentemente schiva e burbera, coi tratti a volte rudi del montanaro trentino, aveva un cuore immenso e non è descrivibile la luce che aveva negli occhi quando nell’ultimo periodo della sua vita attiva aprì l’orfanotrofio di Kipengere, che tuttora prosegue con effetti impagabili sui tanti bambini orfani del territorio.

Era facile incontrarlo in officina con le mani sporche di olio, impegnato a riparare un trattore o a inventare un rimedio meccanico ad uno dei tanti problemi della missione. Il suo nome è noto in tutta la Tanzania per aver portato alla gente centinaia di fontane di acqua. Trasferitosi da Matembwe a Kipengere, infatti, un’altra missione nello stesso distretto di Njombe, il suo impegno nella promozione umana si concentrò nella realizzazione di acquedotti per portare questo bene prezioso nei diversi villaggi, alleviando le fatiche soprattutto delle donne e dando un contributo significativo al miglioramento della sanità pubblica di un vasto territorio. 

Un altro dei tanti meriti di Padre Camillo fu quello di aver aperto le porte della missioni a migliaia di persone e gruppi dall’Italia che nel tempo si recarono da lui mettendo a disposizione le proprie capacità tecniche o semplicemente per conoscere questo angolo del mondo e quello che lì stava accadendo. Quante persone oggi gli sono grate per queste impagabili esperienze ed è così che il funerale di Padre Camillo, oltre a vedere la presenza di migliaia di africani, coinvolgerà spiritualmente tanti italiani. Se in ogni paese in cui vive un italiano che lo ha conosciuto suonasse le campane, buona parte dell’Italia sarebbe invasa da quel festoso scampanio.

Quanto al CEFA, oggi molti dei nostri attuali giovani operatori non hanno conosciuto Padre Camillo. Va ricordato tuttavia che nelle costruzioni le pietre delle fondamenta non sono visibili, eppure su di esse si regge ciò che è costruito sopra. Padre Camillo è certamente per il CEFA una di queste pietre. Padre Camillo Calliari è certamente una radice del CEFA.

Francesco Tosi


Baba Camillo ed una tra le tante storie d’Africa.

Oggi  27 luglio 2022 a due giorni dalla salita al cielo di Padre Camillo Calliari, missionario in Tanzania, mi è stata chiesta una testimonianza, un racconto del Baba. In questi giorni tanti hanno raccontato e ora sono  in difficoltà.

Vi consiglio pertanto di leggere quanto scritto da Giorgio Torelli nel libro “Baba Camillo ed altre storie d’Africa”:  una bellissima testimonianza per tutti.

È grazie a Dario Sermasi che mi accompagnò da Dar Es Salaam a Matembwe, nel sud della Tanzania, che conobbi Padre Camillo. L’ho incontrato vari anni fa, ma non date importanza al tempo, il Baba è sempre stato uguale; sempre Lui, alto con la barbona, grandi mani, già saggio e sapiente ieri come oggi, uno tutto di un pezzo!

Ero ragazzo, volontario del CEFA, con Michele e Roberta, con Francesco, con Luciano e Pia, con Piero e Flora e tanti altri volontari che si sono intervallati per periodi per la costruzione di un incubatoio, un pollaio, una diga, la linea elettrica, l’acquedotto e poi il mangimificio  con Padre Camillo. Lui, il Baba, di cui avevo un grande iniziale timore, abitava nella casa della missione accanto alla Chiesa, noi volontari CEFA nella casa, costruita da Francesco e Marcella, dove è nata la Ceci, lì vicino, sempre sotto il suo controllo rispettoso e silenzioso per fare del bene.

Ci vedevamo tutte la sere al Radio Call per scambiare due parole con i fratelli della Consolata che erano sparsi nelle varie missioni della Tanzania e per condividere i progetti di Matembwe. Con noi, indimenticabile, la presenza importante di John.

A volte, un po’ pochine rispetto ai miei standard, si faceva festa con la fisarmonica. Non ho mai capito come Camillo con due manacce così grandi riuscisse a battere i tastini tondi e neri della fisarmonica. Vino? Poco, pochino. Solo Padre Celio ci sosteneva nei pochi festeggiamenti con un vino, buono allora, ma terribile ripensandoci oggi.

Eravamo felici insieme, ci sentivamo con il Baba protetti dall’Alto, squattrinati e incompetenti, ma con tanta passione e fiducia nell’Altro. Camillo è sempre stato apertissimo in tutto, accoglieva con la prudenza trentina tutti. Ha accolto per primo, su proposta di Giovanni Bersani, noi Volontari, poi gli Alpini, imprenditori, giornalisti, gente spaesata causa cuori spezzati, tutti. Così con le sue manone aperte accoglieva i suoi africani grandi e piccini. Indimenticabili i dettagli delle foto delle mani del Baba sui volti dei suoi piccoli. Non dimenticherò mai le processioni di Pasqua insieme ai protestanti: dialogo, apertura, ecumenismo.

Camillo di poche parole ma di tanti fatti. Da Matembwe a Kipengere, senza dimenticare il santuario, si sporcava in tutto e con tutti. Pensate che al rientro dal santuario facevamo addirittura i salami (assolutamente trentini) con la carne di bufalo!

Quelle mani del Baba, che così tanti fatti hanno realizzato, (l’incubatoio, sotto la guida di John, ancora funziona, così come il pollaio, la diga, l’acquedotto e il mangimificio,) un giorno mi confessarono al mattino fuori dalla Chiesa. Padre Camillo con le sue mani grandissime e le unghie sempre unte mi disse:

“Ora vai e leggiti la prima lettera di san Giovanni è per te. Sii buono”. 

Corsi subito a cercare quella lettera di San Giovanni più che altro per mettere alla prova quel Baba che ogni giorno mi aiutava ad aggiustare l’auto, il trattore, la diga , la linea, il mangimificio. Volevo capire chi era Camillo, prete o meccanico?

Sorpresa! Cavolo ! Quel brano  di san Giovanni era proprio per me. Azzeccato in pieno. Da lì, da quella lettera di San Giovanni,  il Camillo tutto di un pezzo, meccanico del fare, dei progetti, divenne anche il mio Baba del cuore.

Grazie BABA!

Giovanni Beccari  – volontario CEFA a Matembwe 1984/1987

P.S. Pensate sia finita qui ? No! Una volta rientrato in Italia, dopo due anni di volontariato CEFA a Matembwe, cerco morosa e dopo vari mesi, durante una vacanza in montagna, finalmente la trovo. Sapete cosa aveva sul comodino della sua cameretta? Il libro di Baba Camillo altre storie di Africa! Un segno? Ci siamo sposati con Camillo, il Baba nel cuore. Per sempre.

Grazie BABA!

Una solida pietra di questa nostra costruzione

È un momento triste questo, ma allo stesso tempo ricordare P. Camillo fa emergere un senso di gratitudine che riempie l’animo e costruisce, non finisce.

Ho conosciuto Baba Camillo attraverso Giovanni Bersani nei primi viaggi in Tanzania per visitare i progetti e poi via via con tanti volontari che non elenco e con i quali siamo diventati amici e compagni di viaggio: il viaggio del CEFA.

Anche in Italia, ogni anno, andavo ad incontrarlo a casa sua a Romeno (TN), dove tornava nel maso di famiglia; che bella esperienza! Ricordo quell’ambiente sempre pieno di persone che a lui facevano riferimento, gruppi, associazioni e che trovavano motivo di concretizzare la loro generosità. Questo era anche P. Camillo, la capacità di dare senso concreto alla vita di tante persone.

Camillo, una persona di grande fede e capacità, che scaturivano dal vero volere bene, dal sapere coinvolgere e stimolare le persone a camminare e, per questi stessi motivi, capace di spendersi incessantemente senza risparmiarsi mai.

Persona, tutte le volte che l’ ho incontrato, con grande capacità di ascolto e di analisi da cui scaturiva un pensiero profondo e chiaro, con una autorevolezza che, come Giovanni Bersani, ti sentivi grato di conoscere ed esserne amico, di far parte della sua vita e di poter ascoltare per risolvere le situazioni, non solo quelle del CEFA.

Insomma un vero Padre capace nella semplicità di dare consigli, di stimolare e altro ancora.

Questo è stato per il CEFA, sì perché se il CEFA oggi è così, col contributo di tanti, è perché P. Camillo è una solida pietra di questa nostra costruzione.

Mi preme anche ricordare, perché è importante, che è stato uno tra i primi Missionari che ha dato l’avvio, nei Paesi del Sud, ad un nuovo processo di cooperazione e di impegno del laicato, quello della cooperazione tra Ordini Missionari e quelle organizzazioni che poi si sono via via strutturate come il CEFA, dove la promozione umana era l’aspetto fondamentale.

Posso solo dire che adesso, come CEFA, abbiamo un’altra persona di cui fare memoria, da ringraziare per quello che oggi il CEFA è, e anche a cui chiedere di accompagnarci ancora per la nostra strada.

Marco Benassi