A un mese dalla sigla dell’accordo di cessazione delle ostilità tra il governo federale etiope e il Fronte di liberazione popolare tigrino (FLPT), il partito che controlla il Tigray, una regione a nord dell’Etiopia che comprende il 7% circa della popolazione del paese, la nostra vicepresidente Vera Negri Zamagni ripercorre le vicende che hanno portato alla guerra e come si è arrivati all’accordo dopo due anni dall’inizio del conflitto.

Si stima che la guerra abbia prodotto 500.000 morti, la migrazione di circa 2 milioni di tigrini, una catastrofe umanitaria per altri 5 milioni a causa della distruzione delle infrastrutture della regione, finendo col compromettere fortemente la crescita dell’intera Etiopia. L’Etiopia è uno dei più grandi paesi dell’Africa, con una lunghissima storia travagliata da guerre, conquiste coloniali, governi dittatoriali, conflitti civili, siccità, carestie ricorrenti. Il processo di democratizzazione iniziò soltanto nel 1991 e venne egemonizzato tra 1995 e 2012 da Meles Zenawi, rappresentante del FLPT, che avviò riforme costituzionali che resero il paese fortemente federale. 

Proteste, nuove carestie e difficoltà varie dopo la sua morte nel 2012 portarono al potere nel 2018 Abiy Ahmed Ali, esponente di un partito basato sulla più estesa etnia etiope, gli Oromo, che comprendono il 25% della popolazione. Il suo obiettivo fu subito quello di concludere la pace con l’Eritrea, in guerra da tempo con l’Etiopia, per cui ricevette il Premio Nobel per la pace nel 2019, di liberalizzare la politica e l’economia e unificare il paese superando le divisioni etniche, pur mantenendo la struttura federalista dello stato. Le promesse di questa politica erano di riportare nel paese lo sviluppo civile ed economico e per suggellare questo percorso. Abiy Ahmed Ali fondò nel 2019 un nuovo partito non più su base etnica, denominato Partito della Prosperità. Nel 2020 il FLPT iniziò proteste contro il governo centrale e poi attacchi armati, che vennero respinti dall’esercito federale, aprendo scontri devastanti, che non si riuscivano a fermare, con pesanti crudeltà perpetrate da ambedue le parti. La situazione di guerra di uno dei più grandi paesi dell’Africa, iniziò a preoccupare l’Unione Africana (UA) che cerca, ancora oggi, di tessere la tela di un’auto-riscatto dell’Africa. Un suo rappresentante, il nigeriano Olusegun Obansajo, venne incaricato, quindi, di una mediazione, che ebbe luogo a Pretoria in Sud Africa, in 10 intensi giorni di negoziati lo scorso ottobre

Si è arrivati così all’accordo firmato il 2 novembre di cessazione di ogni belligeranza, con l’obiettivo di portare aiuti umanitari dove sono necessari e di iniziare la ricostruzione delle infrastrutture e dei servizi del Tigray, in cambio della rinuncia da parte di tale regione all’indipendenza.

L’accordo è stato favorito dagli Stati Uniti e ha ricevuto l’appoggio dell’ONU, che è pronto a dare un aiuto per le tante risorse che dovranno essere trovate per la ricostruzione e riorganizzazione dei territori interessati dalla guerra. Naturalmente, è opinione generale che sia solo un inizio, perché ciò che sarà più difficile da ricostruire sarà la fiducia reciproca e il completo abbandono delle armi. Lunedì 7 novembre a Nairobi sono iniziati i contatti fra le due parti per mettere su carta un cronoprogramma di atti concreti per attuare l’accordo. Le riunioni sono presiedute dal mediatore dell’accordo Obansajo e dall’ex-presidente del Kenya Uhuru Kenyatta, segno dell’interesse che l’intera Africa ha per mettere la parola fine alla guerra civile in Etiopia. Non tutti hanno opinioni positive sull’accordo: nonostante l’impegno umanitario e politico, una minaccia per la pace è data dai continui attacchi delle truppe eritree contro la popolazione civile. La strada comunque è stata aperta e molti sperano di poter superare definitivamente l’uso delle armi, ricorrendo a quello strumento politico migliore per comporre le divergenze che è il negoziato.

Nelle prossime settimane continueremo ad osservare attentamente la situazione con la speranza che gli accordi vengano al più presto implementati e rispettati.