La Tunisia sta attraversando una tempesta perfetta. La crisi climatica e quella economica mettono in grossa difficoltà il paese, che si trova ora in uno stato di emergenza.

Come CEFA siamo presenti nel paese da più di 10 anni, e da anni lavoriamo per migliorare l’inclusione economica delle fasce di popolazione più fragili. Per capire meglio come queste crisi stiano colpendo il paese, abbiamo parlato con Jacopo Granci, responsabile CEFA in Tunisia.

Quali sono i principali elementi di questa crisi e come si stanno manifestando?

Si tratta di una crisi strutturale innescata dal debito e da un deficit di bilancio costantemente in rosso. Al paese servono soldi per la spesa pubblica e le importazioni, e come è da tempo discusso ci si sta muovendo per fare ricorso al Fondo Monetario Internazionale. Il contesto economico negli ultimi 10 anni non ha portato grossi miglioramenti, mettendoci in mezzo anche la pandemia. Molte imprese hanno chiuso, perdendo una grossa parte di indotto dall’estero, interi settori sono stati ridimensionati, pensiamo ad esempio al turismo. Ora servono quei fondi da parte delle istituzioni finanziarie o un’alternativa valida che ancora non si vede all’orizzonte, perché per adesso ad aver subito i principali effetti della crisi è stato il privato, ma senza i fondi necessari sono le istituzioni che rischiano di andare al tappeto. La grande difficoltà ora è nella transizione che il paese deve intraprendere per poter ottenere questi fondi: ad esempio la fine delle sovvenzioni pubbliche per i beni primari, la dismissione delle imprese statali. Iniziative simili porteranno a nuovo malcontento, proteste, mettendo a rischio una coesione sociale già fragile. In tutto questo l’attenzione mediatica ruota intorno a migrazione e frontiere, ma la vera crisi è economica ed ha cause profonde.

A questo sembra si stia aggiungendo una grande siccità.

Esatto, nella tempesta perfetta in cui ci troviamo, la crisi climatica non ci ha risparmiati. Ma questa è una crisi che non si è scoperta né oggi e neanche ieri. Sono 4 anni che c’è l’allerta siccità nel paese, e viene sprecata ancora troppa acqua. Ci sono circa 30 dighe nel paese, alcune interconnesse, che servono sia per l’agricoltura che per l’approvvigionamento delle aree più aride del paese. Nel 2019 c’era una capienza al 70%, che era sotto controllo. Da 4 anni è iniziata la siccità, e oggi ci troviamo a una capienza sotto al 30%, che è allarme rosso. Quindi circa 2 settimane fa il Ministero dell’Agricoltura ha mandato una direttiva che vieta l’utilizzo dell’acqua per l’agricoltura, non si possono lavare macchine, non si possono innaffiare gli spazi verdi pubblici e in più il razionamento: dipende dalle zone del paese e della capitale, ma ci sono interruzioni notturne nell’erogazione dell’acqua.

Come sta cambiando la vita quotidiana delle persone?

C’è sicuramente molta attenzione da parte della società civile che prova a fare sensibilizzazione e noi come CEFA siamo dentro questo meccanismo. Ci sono poi accortezze utilizzate nell’irrigazione e nel consumo quotidiano, ma che di fronte alle proporzioni di questa crisi fanno fatica a portare risposte efficaci. Ci si è dovuti adattare nella produzione agricola, ad esempio le colture che necessitano di troppa acqua sono state abbandonate. Questo genera inevitabilmente nuove tensioni a livello sociale per chi vive di questi prodotti.

Cosa sta facendo CEFA oggi per rispondere alla situazione?

Crisi climatica ed economica sono naturalmente problematiche molto grandi. Noi però nel nostro piccolo continuiamo a fare il nostro lavoro. I nostri progetti prevedono il sostegno alle piccole imprese, e la formazione professionale per l’inclusione economica delle fasce più deboli e svantaggiate. Questo c’era da prima e continuerà ad esserci.

Durante la crisi migratoria che c’è stata tra metà febbraio e inizio marzo, anche grazie ai nostri progetti abbiamo dato il nostro contributo, fornendo viveri, alloggio, protezione a persone cacciate di casa, fortemente minacciate per le strade durante le fasi di più alta tensione. C’è stato subito coordinamento tra le ong e le associazioni tunisine più attive, e ognuno ha cercato di fare un pezzetto.

E per quanto riguarda la crisi climatica c’è qualcosa che possiamo fare?

Siamo partiti con il lavoro fatto a Gabes e Bizerte su tutta la parte di sensibilizzazione e informazione sulla protezione degli ecosistemi locali, attività principalmente rivolte alle piccole associazioni di quartiere, alle scuole e alla popolazione rurale. Ora invece ci stiamo concentrando più sull’adattamento al cambiamento climatico. Con il progetto PRESTO, oltre al coinvolgimento della società civile per progetti green in area urbana, lavoreremo molto sul risparmio idrico in agricoltura. Con il Ministero stiamo rivedendo in queste settimane le aree di intervento per le parcelle pilota in cui installare sistemi tecnologici di efficientamento idrico, in virtù delle nuove direttive e dei razionamenti in corso. 

Cosa ci possiamo augurare per i prossimi mesi?

Oltre che augurarci la pioggia, speriamo che tutta la parte di mobilitazione della società civile sviluppata in questi anni possa rimanere solida e attiva nel territorio. Purtroppo anche su questo versante si intravede un futuro abbastanza critico nel paese. Serve e continuerà a servire una società civile strutturata, forte ed efficace. E noi lavoriamo anche per questo.