Si comincia a parlare di pace in Etiopia. Dopo più di 1 anno e mezzo di conflitto civile, sembra che le trattative per raggiungere la pace stiano procedendo, anche grazie alla mediazione della comunità internazionale e degli altri paesi del Corno d’Africa. La strada per vedere la fine della guerra è però ancora lunga. Le prossime settimane saranno decisive per trovare soluzioni efficaci e condivise dalle parti. Inoltre, mentre la regione del Tigray rimane ancora chiusa al mondo esterno, la carestia aggrava notevolmente la situazione. La siccità e il drastico aumento dei costi del grano stanno mettendo in ginocchio un paese e una regione già profondamente colpiti da una vera crisi umanitaria.

Gli agricoltori hanno bisogno di fertilizzanti e sementi per non vedere l’ennesima scarsa stagione delle piogge sprecata, e la forte dipendenza del paese dall’importazione di grano russo ed ucraino ha portato il prezzo del pane ad aumentare fino al 40%. Di fronte a questa emergenza, abbiamo parlato con Dario de Nicola, responsabile dei progetti CEFA in Etiopia, appena rientrato in Italia dopo una sua missione nel paese, per cercare di capire meglio la situazione e le azioni che possono essere messe in campo per continuare sostenere le comunità locali.

Qual è la situazione che hai visto durante la tua visita nel paese?

C’è ancora molta tensione. Nonostante la tregua di qualche mese fa, e i recenti sviluppi sulle trattative di pace, c’è una situazione ancora molto in bilico tra il governo e i vari gruppi indipendentisti. Proprio per questo motivo, le prossime settimane si riveleranno decisive e sarà fondamentale cercare di mantenere questo precario equilibrio per permettere alle trattative di andare a buon fine.

Il conflitto interno al paese e gli effetti della guerra russa in Ucraina stanno avendo ripercussioni su tutta la regione del Corno d’Africa. Quali sono le principali conseguenze di queste crisi?

Nei nostri progetti il primo vero ostacolo che abbiamo incontrato è stato il vertiginoso aumento dei prezzi del fertilizzante. Può sembrare una fra le tante conseguenze, ma per gli agricoltori delle comunità rurali con cui lavoriamo significa rischiare di perdere gran parte del raccolto. Aggiungiamoci la pressoché inesistente stagione delle piogge, il prossimo raccolto difficilmente risponderà alle esigenze alimentari di queste persone.

Proprio in questi giorni si sta confermando quanto gli effetti di questa crisi climatica abbiano un impatto globale.

Esattamente, è un problema che ci riguarda tutti. Qui le piogge sono partite tardi. La gente ha seminato i campi, confidando che le piogge arrivassero come al solito verso la fine di marzo, invece a maggio inoltrato non aveva ancora piovuto, con le conseguenze che tutti possiamo immaginare. Nel villaggio di Fango, di cui abbiamo già parlato in una precedente intervista, solo chi ha investito i suoi pochi risparmi nell’affitto di una moto-pompa per l’irrigazione è riuscito a salvare i propri campi. Gli altri hanno perso tutto.

Che cosa stiamo facendo per rispondere a questa emergenza in Etiopia?

Questa emergenza ci conferma che dobbiamo continuare a lavorare insieme a queste comunità. Gli impianti di irrigazione ad energia solare sono un esempio, ma stiamo lavorando anche perché gli agricoltori possano utilizzare e condividere tra di loro pompe per prendere l’acqua dai fiumi. È importante continuare a creare questi modelli per permettere che i campi vengano irrigati anche durante questi periodi siccitosi e di scarsa pioggia. Presto continueremo inoltre con la distribuzione dei kit agricoli e delle sementi per permettere alle famiglie di diversificare la propria dieta e superare l’insicurezza alimentare.

Aiutaci anche tu, e insieme rimarremo accanto alle comunità dell’Etiopia