In occasione della Festa del Cinema di Roma, è stato presentato il docufilm “Gente strana” per la regia Marta Miniucchi, nella sezione autonoma di “Alice nella città”. Distribuito da Genoma Films, “Gente Strana” si snoda tra Bologna e la Tanzania e racconta una delle tante missioni di CEFA. Durante la presentazione del film, abbiamo parlato con Cesare Bocci, attore che interpreta il ruolo del giornalista cinico.

Sono 50 anni che CEFA si impegna per vincere la fame e la povertà, intervenendo sulle comunità più povere del mondo, attraverso un dialogo profondo, nella speranza di un creare un legame sincero di fiducia. 

Sì, forse questo è l’aspetto più importante: conquistare la fiducia della popolazione locale, perché senza quella non ci si può far nulla. I progetti del CEFA sono progetti che resistono nel tempo ed è proprio ciò che si vuole. Il senso non è andare lì e portare, per dire, il trattore, se poi non gli insegni a guidarlo, portare le mucche se poi muoiono di fame oppure non produco ciò che potrebbero produrre. Fare dei progetti che durano nel tempo e che vengono gestiti dalla popolazione locale, che è proprio quello che significa la battuta del film “aiutiamoli a casa loro”, ovviamente con un’accezione diversa rispetto a ciò che la politica spesso fa.

La tua popolarità e i ruoli che hai interpretato, fanno sì che tu sia un uomo credibile nei confronti del pubblico?

Indipendentemente da ciò che posso suscitare nel pubblico, se credono in me o meno, credo che i personaggi pubblici abbiano un obbligo morale, non solo perché sei un essere umano perciò devi aiutare gli altri ad essere umani, ma soprattutto perché la tua popolarità può veicolare un messaggio più lontano. Credo che noi tutti, uomini e donne di spettacolo, dovremmo firmare un contratto di vita, dedicare qualcosa alla solidarietà, a cause importanti.

È bello che il tuo personaggio piano piano riacquisti fiducia in sé stesso.

Il mio personaggio è quello cinico, quello che fa le domande scomode e che però subisce poi l’azione delle risposte che riceve. Lui ha una storia personale che l’ha portato a chiudersi in sé stesso, a chiudersi in casa. Proprio il ruolo che ha in questo caso, l’inchiesta che gli viene commissionata, lo porta a ritrovare la chiave del cuore, quella che lui aveva serrato. Non voleva più avere contatti con il genere umano perché gli fa schifo. Ha subito un suo dolore profondo e invece, proprio vedendo l’entusiasmo, vedendo la passione, vedendo la serietà, la concretezza con cui Marco riesce ad aiutare gli altri, ritrova questa chiave del cuore, lo riapre e torna a vivere.

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