Pochi giorni fa le Agenzie delle Nazioni Unite hanno lanciato un allarme congiunto per una crisi alimentare senza precedenti che mette a rischio la vita di 30 milioni di bambini in 15 paesi tra Africa e Medio Oriente. L’appello è per “un’azione decisa e tempestiva per evitare che questa crisi diventi una tragedia per i bambini più vulnerabili del mondo”. Tra le ragioni della crisi, il cambiamento climatico, i conflitti armati e l’aumento del costo della vita dovuto alla pandemia e alla guerra in Ucraina.

Tra le regioni più a rischio malnutrizione, c’è il Corno d’Africa, dove, tra Etiopia, Kenya e Somalia, la peggiore siccità degli ultimi 40 anni ha portato ad una profonda crisi alimentare.

Eugenia Pacini, coordinatrice programmi CEFA in Etiopia

Oggi abbiamo parlato con Eugenia Pacini, coordinatrice dei programmi CEFA in Etiopia, che da diverso tempo ormai supporta i team locali nell’implementazione dei progetti e delle azioni di contrasto alla malnutrizione. Eugenia si sposta regolarmente tra Addis, Wolisso e Soddo, e ha modo di vedere i reali effetti che crisi climatiche, alimentari ed economiche stanno avendo sulle famiglie contadine del paese.

Le Nazioni Unite lanciano un allarme per 30 milioni di bambini in 15 paesi. Questa crisi è visibile sul campo?

Direi che usano anche numeri abbastanza prudenziali. Visto in prospettiva, in Etiopia il conflitto ha sicuramente avuto un grosso impatto nella malnutrizione e dei problemi di salute in una popolazione con un numero altissimo di bambini sotto i 5 anni. Queste situazioni hanno conseguenze a lungo termine nel paese: tanti investimenti nella guerra, meno interesse nell’ambito della crisi alimentare, un aumento dell’inflazione insostenibile. Per tanto tempo il cibo è stato uno di quei beni facilmente accessibile, ma ora non lo è più. L’injera prima della guerra costava circa 9 birr, oggi ne costa quasi 20. Molte famiglie hanno dovuto cambiare la qualità della propria alimentazione.

E alle difficoltà economiche si aggiungono quelle dovute al cambiamento climatico

Il cambiamento climatico lo vediamo ogni giorno. Le famiglie contadine con cui lavoriamo hanno grandi problemi di accesso all’acqua. Ci sono oggettivamente degli sconvolgimenti climatici: piogge in periodi non previsti e siccità per il resto dell’anno. Bisogna lavorare sulla resilienza a questi cambiamenti, per riorganizzarsi e riuscire ad anticiparli. Ma ormai il problema è tanto nelle aree rurali quanto nelle grandi città. Ad Addis ad esempio due volte a settimana non abbiamo l’acqua. Le stagioni secche sono troppo secche e i livelli dei fiumi sono cambiati.

Le agenzie delle Nazioni Unite nel loro allarme chiedono un maggiore investimento per un’azione decisiva e tempestiva. È questa la strada?

Su questo siamo d’accordo, ma dobbiamo anche ricordarci l’importanza di investire nello sviluppo, e non solo nell’emergenza, perché solo con progetti di sviluppo possiamo riuscire a lavorare sulla resilienza e prevenire così problematiche future. Nel Corno d’Africa la siccità sta sconvolgendo da anni la regione, sempre più intensamente e frequentemente, con una siccità ogni anno peggiore dell’anno precedente. Possiamo solo aspettarci che continuerà così, per questo è importante organizzarci e riorganizzarsi insieme alle comunità locali che maggiormente soffrono questi cambiamenti.

Come stanno reagendo le comunità locali a questi eventi climatici?

Quando una famiglia si ritrova senza più acqua, cibo e con il raccolto perso, quello che rimane è spostarsi. Le migrazioni però generano nuove forme di tensioni e conflitti per le poche risorse rimaste.

E cosa possiamo fare noi?

Noi attraverso i nostri progetti, dai più piccoli ai più ambiziosi, cerchiamo di avere un impatto, che possa rendere le persone e le famiglie coinvolte non dipendenti dal progetto ma autonome. Vogliamo creare resilienza e non dipendenza. Cerchiamo di diffondere le conoscenze, le idee, le informazioni e le tecnologie come fonte di ispirazione sia per i beneficiari che per l’intera comunità: introducendo così un vero e proprio modello.

Di che tipo di tecnologia stiamo parlando?

Parliamo di tecnologia ad energia solare capace di dare alle comunità locali la possibilità di utilizzare a pieno le proprie risorse naturali. Questo accade sia in Wolaita dove lavoriamo con pompe solari che con un semplice pannello collegato ad un pistone riescono a pompare acqua e irrigare i campi, e in Oromia dove con macchinari solari diamo la possibilità alle donne di svolgere in maniera più efficiente il lavoro nei campi: dal raccolto, la separazione delle spighe dai semi, alla creazione di farina.

Nel Woalita nello specifico stiamo lavorando a delle Green Farms che possano diventare dei veri e propri punti di riferimento per le comunità, dove sarà presto possibile per 450 piccoli agricoltori formarsi e imparare ad utilizzare queste nuove tecnologie. I contadini verranno poi divisi in piccoli gruppi a cui verranno affidate le pompe ad energia solare e condivideranno per irrigare i propri campi, durante poi tutto il resto dell’anno continueremo a seguire questi gruppi per aiutarli nella gestione comunitaria delle pompe e per assicuraci il migliore utilizzo.

Aiutaci a rimanere accanto alle comunità dell’Etiopia

Con il tuo contributo compreremo altre pompe ad energia solare!

Questi interventi sono realizzati grazie al supporto dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, il Ministero dell’Interno, l’8×1000, Italia Zuccheri, e donatori privati.